di Salvo La Delfa

Il documentario investiga sulla spiritualità degli eremiti e sul ruolo del silenzio per la conoscenza di sé e degli altri. Joshua Wahlen, uno degli autori, lo ha presentato in prima assoluta a Siracusa nelle sede di Impact Hub.

 “Voci dal silenzio” è il film del 2018 di Joshua Wahlen e Alessandro Seidita, film maker indipendenti di origine palermitana, che è stato, in prima assoluta a Siracusa, proiettato nella sede di Impact Hub con la presenza dello stesso Wahlen. Come recita il sottotitolo, è un film sull’eremitaggio, un viaggio tra gli eremiti d’Italia, un viaggio che indaga sul ruolo del silenzio definito come scrigno della parola, un film ricco di significati ed elementi di riflessione, un documentario minimalista e low budget finanziato in crowfunding.

 Il film, come racconta Joshua Wahlen, nasce dal lavoro fotografico che Federico Tisa aveva effettuato nel 2014 attraversando a piedi l’intera nazione alla ricerca di eremiti. “Abbiamo deciso di portare avanti questo progetto dopo aver visto le foto di Federico Tisa che mostravano eremiti con volti sereni e pieni di vita. Alcuni degli eremiti che abbiamo incontrato sono stati scelti utilizzando il reportage fotografico di Tisa mentre altri ci sono stati segnalati dalle persone che partecipavano al crowfunding”. “Appena abbiamo avviato il progetto”, continua Joshua Wahlen, “abbiamo avuto subito un dubbio molto forte che ci ha fatto riflettere e ragionare per un poco e che può essere riassunto con questa domanda: era giusto andare ad interrompere lo spazio di silenzio che queste persone avevano costruito nel tempo? Questo dubbio ci ha accompagnato mentre giravamo in camper o a piedi, con l’attrezzatura cinematografica sulle spalle, e ogni qualvolta ci presentavamo alle porte delle case degli eremiti senza nessun preavviso”.

Come avete risolto questo dubbio, Joshua?

Questo dubbio è svanito quando li abbiamo effettivamente incontrati ed abbiamo potuto verificare la grandissima apertura di tutti gli eremiti. Nell’immaginario collettivo l’eremita è colui che prende le distanze dagli altri, che si allontana, che cerca in tutti i modi di proteggere la sua privacy. Per noi è stato sorprendente verificare che se contattato e chiamato in causa l’eremita è estremamente disponibile e felice di essere testimone di vita e raccontare la sua esperienza. Questa disponibilità è stata per noi un elemento fondamentale per portare avanti questo progetto. Altri elementi sono stati il notevole contributo che abbiamo avuto durante la campagna di crowfunding che ci ha permesso di finanziare la produzione e l’interesse da parte del pubblico durante le proiezioni. Dal dieci settembre siamo in tour in tutta Italia con proiezioni quasi quotidiane che si svolgono non solo nei cinema ma anche nelle sede di associazioni, gruppi, enti e singoli privati. 

Perché tutta questa mobilitazione nei confronti di questo documentario che parla del silenzio?

Secondo noi questa mobilitazione ha un grande valore ed è frutto di un bisogno che si è prodotto in questi anni. Dopo un periodo di grandi differenze e di muri tra le persone, la gente sente la necessità di unirsi, sente la necessità di orientarsi in un certo modo per stare meglio nel mondo, sente forte la responsabilità di vivere bene e la responsabilità che ha nei confronti degli altri per far vivere loro bene. Questo documentario può dare degli elementi per curare le relazioni non solo con le persone vicine a noi ma anche con tutte le persone intorno a noi. Tutte le azioni piccole o grandi che siano che si muovono orientate dal faro della presa di coscienza di sè vale la pena affrontarle.

Perché gli eremiti intraprendono questo percorso?

Gli eremiti che abbiamo incontrato hanno deciso di andare a vivere da soli non perché incapace di stare con gli altri. Questa scelta per loro non presenta connotati di fuga dal vivere quotidiano ma si è trattata di una vera e propria presa di coscienza arrivata in una fase di maturazione interiore. In genere si deve saper vivere bene in una società per poter fare questo passaggio. Noi abbiamo avuto la fortuna di avere degli incontri selezionati ed è chiaro che il documentario parla di chi questa esperienza la fa in maniera virtuosa ma il mondo dell’eremitaggio è molto vario e quindi è ovvio che ci siano persone che facciano la scelta per fuggire dal quotidiano e che ci siano esperienze fallimentari all’interno di questo percorso. Ognuno di loro ha una propria storia personale e ogni eremita va contestualizzato nella sua storia personale.

Come vive un eremita?

Non bisogna fare l’errore di pensare che l’eremita sia una figura priva di relazioni, una figura isolata. Oggi è difficilissimo che egli lo sia e anche nel passato le esperienze di eremitaggio raccontano di persone che  andavano a vivere da sole ma poi creavano del discepolato. Questo per dire che lo scambio è importante e la relazione è una condizione imprescindibile per portare avanti il proprio percorso di eremita. C’è chi lo fa in maniera del tutto estrema, senza avere bisogno degli altri e c’è chi è in contatto con l’esterno, anche con un profilo facebook lanciando nel social, per esempio, ogni settimana una riflessione. La maggior parte degli eremiti ha una grande disciplina, non ci sono elementi di disturbo che li incalzano e quindi hanno un modo di vivere il tempo migliore. La loro vita relazionale è molto più appagante di quella che abbiamo noi che siamo impegnati costantemente nel riempire il nostro quotidiano con attività, impegni, misurando la nostra vita sulla quantità delle relazioni. L’eremita fa un processo inverso e basa la sua vita sulla qualità della relazione. Le nostre relazioni sono sempre animate da un pregiudizio che può allontanare l’altro mentre questo pregiudizio è assente nell’eremita in quanto il loro vivere è dettato da una scelta autentica.

Qual è il taglio che avete dato al documentario?

Il documentario non racconta storie cioè non prende un personaggio e lo segue. Sono tanti i protagonisti del film ed avrebbero avuto massimo quattro minuti ciascuno. Abbiamo impiegato nove mesi per il montaggio perché inizialmente stavamo raccontando le storie personali di ciascuno di loro ma poi abbiamo capito che dovevamo operare diversamente e raccontare il lavoro che fanno nell’eremo per cercare di trovare l’equilibrio con se stessi e l’equilibrio fra loro e gli altri e, quindi, abbiamo focalizzato l’attenzione sulla loro ricerca di spiritualità.