In attesa di vederlo nelle sale a settembre, ci si può consolare con la pellicola, che nel 2017 ha portato a casa l’ambito premio, “The Square”. Una commedia drammatica svedese per la regia di Ruben Ostlunde, che due anni fa, ha vinto nella sezione “Un certain regard” con il film Forza maggiore, con una sferzante critica alle disuguaglianze all’interno della società contemporanea, contraddizioni e ipocrisie che si presta alla libera interpretazione. Dopo l’abolizione della monarchia svedese, il Palazzo Reale di Stoccolma diventa un museo d'arte e Christian, danese trapiantato in Svezia, padre divorziato di due bambine, interpretato da Claes Bang, gestisce uno spazio museale per una nuova installazione artistica sul tema della fiducia. Un piccolo luogo aperto ma delimitato, di forma quadrata “the square”, i cui confini sono allestiti per terra all’inizio del film con una solennità e pura perfezione conferendole l’aspetto di una dimensione sacra, sensazione intensificata dalle note dell’Ave Maria, leitmotiv del film. Su un set minimale, tipica atmosfera di un museo di arte moderna, l’attenzione dello spettatore viene spostata verso il protagonista con sciarpa felliniana, calzini arancioni, occhialini rossi e jeans, occupato in un’intervista e seduto dietro una profetica scritta “You have nothing (tu non possiedi nulla)”. Una mattina, andando a lavoro Christian soccorre una donna in pericolo e scopre di essere stato derubato del telefono e del portafoglio così, su suggerimento di un collaboratore scrive una lettera in cui reclama i suoi averi innescando una serie di conseguenze che gettano la sua rispettabile esistenza nel caos. Interdetto di fronte all'accaduto, forse travolto lui stesso dalle conseguenze di tanto altruismo, Christian elabora uno stratagemma pari e contrario per riprendersi i suoi averi, che lo porta ad accusare direttamente del furto un'intera classe sociale, immigrati; disoccupati; piccoli delinquenti, rappresentata da un palazzo dormitorio dove dovrebbe trovarsi la refurtiva ed abitare, quindi, i presunti ladri. L'escamotage funzionerà e terrà Christian talmente occupato da fargli perdere di vista il surreale lancio pubblicitario della nuova installazione del museo. Con questa pellicola Ostlund vuole far riflettere lo spettatore, e contrappone la vita del protagonista egocentrico, politicamente corretto, che usa la posizione di potere per conquistare le donne tra cui la giornalista Anne, Elisabeth Moss, a quella di chi è ai margini della società “i mendicanti”. Christian presenta con orgoglio il quadrato, immagine ricorrente, definito “santuario di fiducia e amore al cui interno abbiamo tutti stessi diritti e doveri” in esso ci sono regole che implicano di rispettare gli altri e aiutarsi.
Parole che divergono con la società in cui si vive e con la violenza visiva attraverso cui si decide di promuovere la nuova installazione: un video con una bambina bionda, prototipo svedese, che si rifugia dentro il quadrato che di lì a poco esploderà ed un titolo di coda abbastanza provocatorio “Quanti minuti occorrono perché inumanità diventi umanità? 1.42“. Intenti lodevoli quelli di cui si fa portavoce l’opera d’arte, che alla fine, però, non vengono messi in atto dallo stesso protagonista che predica bene e razzola male quando per strada, come tutte le altre persone scansa i mendicanti e fa fatica a voltarsi quando gli sembra si udire una richiesta di aiuto. Il grottesco e l’assurdo investono il mondo dell’arte contemporanea con le sue installazioni e provocazioni e ci svela che viviamo in una società paradossale tra commenti sottili sull'immigrazione dove l'elemento più importante è proprio il protagonista del film e ritratti caustici del nostro rapporto con l'arte, le possessioni materiali e la correttezza politica. Il tutto con un distacco ironico e tipicamente nordico che rende amabili tutti i personaggi per quanto siano in realtà odiosi, con un crescendo vertiginoso al servizio di un caos geometricamente calcolato. Un film da osservare con attenzione, che permette di riflettere su quanto ci sia oggi di sbagliato nella società e soprattutto nel modo di pensare. Utile per capire come i pregiudizi, le apparenze ed il falso buonismo rischiano di imprigionarci nel famoso quadrato, questa volta inteso come un luogo senza via d’uscita e come uno strumento in cui vige la disuguaglianza e odio.